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I miei ultimi 2 anni e mezzo tra Malawi e Sudan

I miei ultimi 2 anni e mezzo tra Malawi e Sudan

Ft.: Piero Valentini

Presso Sudan (Khartoum) con OVCI e Malawi (Blantyre) come Volontario delle Nazioni Unite

 

Attualmente mi trovo a Blantyre in Malawi e lavoro come Fisioterapista Volontario delle Nazioni Unite presso l’ospedale civile della città (Queen Elizabeth Central Hospital a Blantyre) e presso il corso di Laurea in Fisioterapia avviato circa 3 anni fa.

Scrivo ora perché vorrei rendere partecipi della mia esperienza in Malawi tutte quelle persone che vorrebbero sapere qualcosa in più dell’Africa e del mondo della Cooperazione Internazionale riservando un riguardo particolare a quei colleghi che lavorano in Italia che sono interessati al mondo della Cooperazione e/o che vorrebbero partire a loro volta per un paese extra-Europeo per maturare un’esperienza totalmente diversa da quella che è possibile sviluppare in uno qualsiasi dei paesi Occidentali.

Prima di cominciare a Blantyre (agosto 2011) sono stato in Sudan con OVCI per quasi tutto il 2010. Di quella mia prima esperienza nel mondo della Cooperazione ricordo le mille difficoltà legate ad una miriade di aspetti che non avevo per nulla messo in conto prima di partire: la lingua di uso corrente diversa, la cultura completamente sconosciuta, il modo di lavorare sostanzialmente differente e una miriade di altre piccole cose che si può veramente capire e realizzare solo dopo essere partiti (e che pertanto non voglio “svelare”).

Scrivo oggi perché sento di avere delle cose da trasmettere, nonostante la mia giovane età (28 anni) e la mia contenuta esperienza lavorativa (6 anni). In questi ultimi due anni e mezzo spesi fra Sudan e Malawi, come persona e come fisioterapista sento di essere cambiato molto, anzi moltissimo!

Le opportunità che mi sono state offerte dal territorio in cui mi sono recato sono state uniche per un professionista della mia età e mi sto sforzando intensamente per farle fruttare al meglio così da tenere lontana quella spiacevole sensazione di star perdendo capacità e competenze e di star troppo distaccandomi dalla realtà e dagli standard europei che a volte sembra proprio accadere e il cui dubbio a riguardo ritorna ciclicamente.

Al momento le mie attività sono di clinica in ospedale: sia con pazienti ricoverati che ambulatoriali; di didattica e di organizzazione presso l’Università essendo docente esterno e coordinatore del tirocinio per il II e il III anno. Insomma la mole di lavoro è spaventosa e io a volte ho proprio la sensazione di venirne schiacciato anche se mi devo tenere tutto per me perché il lavoro che deve essere fatto è quello e se non lo faccio io non c’è nessuno a farlo al posto mio. Questo uno dei principali punti con cui bisogna fare i conti prima di partire per un paese in via di sviluppo: l’impegno morale è alto e lo stress cui si sceglie di esporsi (in maniera inconsapevole prima della prima partenza) è elevatissimo.

Per questo bisogna essere competenti e mossi da motivazioni solide e ben radicate nel proprio Io, altrimenti quando le difficoltà si sommano si fa corto-circuito, si prendono una serie di decisioni sbagliate che in altre circostanze non si prenderebbero e a farne le spese sono, al solito, persone al di fuori dei meccanismi che creano questo super-stress e cioè i pazienti e i colleghi con cui si lavora fianco a fianco quotidianamente.

Scegliere di partire non deve essere fatto sulla base della considerazione che “tanto anche se sbagli nessuno protesta” o che “non serve essere competenti, tanto sono nel terzo mondo”, etc. Al professionista che parte si richiede un’elevata competenza tecnica, capacità di trovare soluzioni dove sembra impossibile trovarne, infinita pazienza e capacità di adattarsi a lavorare in contesti improbabili.

Nonostante il dubbio costante se sia effettivamente un momento di crescita oppure no, scegliere di partire, lasciare tutto e tutti alle spalle è una scelta che si rivela vincente sotto talmente tanti punti di vista che, nonostante l’aspetto tecnico ne soffra un pò, io rifarei mille volte se dovessi tornare indietro al bivio cui mi ci sono trovato quasi tre anni fa.

Negli ultimi 15 mesi di attività clinica in ospedale sono riuscito a seguire circa 350 pazienti ricoverati tutti in ambito neurologico, per quanto riguarda i pazienti ambulatoriali non sono riuscito a tenere un registro affidabile ma ho l’impressione di averne seguiti almeno altrettanti. Con questi numeri risulta piuttosto evidente come la rapidità sia da preferire all’appropriatezza del trattamento. Tenendo un paziente in trattamento per uno o due giorni in media è impossibile impostare un trattamento secondo i canoni intesi nei paesi Occidentali; quello che si ha il tempo di fare e che risulta vincente è insegnare alle persone intorno al paziente cosa fare a casa, assicurarsi che lo imparino e che lo facciano appropriatamente e poi passare al paziente successivo.

Avendo pochissimo tempo a disposizione, a volte pochissimi minuti col medico di fronte che pressa per avere risposte e consigli subito, spero risulti chiaro come ci sia la necessità per il fisioterapista di essere già competente al momento della partenza, per lo meno dal punto di vista clinico-teorico se non da quello della preparazione umana ad un’esperienza del genere.

Anche se l’aspetto tecnico, dicevamo, ne risente sensibilmente si riesce a sviluppare un incredibile capacità prognostica, una rapida ed efficace capacità di trasferimento di competenze, un’impensabile capacità di gestire e risolvere situazioni complicate e complicatissime senza contare quanto si può maturare sotto il profilo umano e personale.

Avendo speso 9 mesi in Italia fra l’esperienza in Sudan e questa in Malawi mi sento anche in grado di fornire un avallo alle affermazioni fatte poco sopra perché ho realizzato sulla mia pelle tutto quanto affermato.

Ho cercato di raccontare brevemente la mia esperienza all’estero, ho cercato di fornire qualche punto positivo in più per, magari, dare l’ultimo slancio a chi è indeciso se partire o meno e in questo senso adesso voglio dare il mio indirizzo e-mail (piero.valentini84@gmail.com) per completare questa “opera” di tentazione alla partenza. Per concludere credo sia giusto avvisare che ci sono tanti aspetti che non ho toccato perché penso non sia giusto raccontare tutto e così rovinare la meraviglia della scoperta sulla propria pelle di tutto quello che fa parte del quotidiano della vita in un continente diverso immersi in una cultura assolutamente lontana e differente.

Principalmente penso scorretto raccontare “tutto” per il semplice fatto che la mia esperienza è piuttosto contenuta e limitata a due soli paesi africani e a due soli ambienti lavorativi, sarebbe ingiusto dire come è stato per me con presunzione di affermare che così sarà per tutti quanti gli altri!

Se interessati ad avere contatti per partire o anche solo maggiori informazioni, non esitate a contattarmi.

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