Saharawi

Dalla valutazione dei fisioterapisti al miglioramento delle competenze

Dalla valutazione dei fisioterapisti al miglioramento delle competenze

Ft.: Marco Martinelli – Associazione Rio de Oro

15-29 Novembre 2008

Ospedale militare di Bol-la – SAHARA OCCIDENTALE

 

La forma scelta per la redazione di questa esperienza è quella del diario, che contiene quello che mi sono sentito di scrivere in queste 2 settimane, dal punto di vista tecnico e soprattutto personale. Lo scopo del viaggio era la valutazione tecnica di 3 fisioterapisti locali per la strutturazione successiva di una formazione mirata al livello dei terapisti ed alle necessità del territorio in cui lavorano.

La situazione del Sahara Occidentale dal punto di vista politico è molto complicata e non mi soffermerò a descriverla, per chi fosse interessato, partendo da Google, come sempre si ottengono tutte le info che interessano. Naturalmente anche sul sito di Rio de Oro!

GIORNO 1
Accolto da Mohamed all’aeroporto di Tindouf con un saluto in spagnolo che ha la capacità di farmi sentire subito a casa, sono appena arrivato all’ospedale di Bol-la, dove Rossana ha preparato per me una “suite”. Posso scegliere fra 5 materassi appoggiati a terra, ed anche questo ha qualcosa di famigliare, mi ricorda tanto i primi 2 anni trascorsi a Bologna dormendo per terra su un materasso che Samanta aveva comprato per 5€ da un robivecchi.
Già all’aeroporto si respira un clima disteso e di grande accoglienza. Gli “occidentali” che arrivano qui lo fanno per dare una mano. Per tutto il viaggio ho scrutato tutti i miei ipotetici compagni visto che sapevo saremmo dovuti essere in 6 e cercavo di aggiungermi al gruppo. In realtà stavo guardando ragazzi e ragazze di altre associazioni che qui lavorano. Poi c’erano quelli di avventure nel mondo che sono partiti un’ora prima di noi per Tamanrasset per un trekking nel deserto.
Ora sono le 3.38 e anche se ho dormito un po’ in aereo, è meglio che riposi bene per essere in forma domani mattina. Per fortuna Rossana mi ha già comunicato che la prima mattina dopo l’arrivo me la posso prendere shanti….

GIORNO 2
Partenza col botto. Doveva essere una mattina di assoluto riposo e appena sveglio è arrivato un signore che ha spiegato la situazione a Rossana. Alla sua bimba si erano tutti rammolliti i gessi per i suoi piedini torti. Che facciamo? Dov’è la bimba? Dalla macchina salta giù la mamma con questo meraviglioso cucciolo di poco più di 2 anni con le sue gambine bianche. Chi li ha mandati oggi che martedi arriva una commissione spagnola con anche un traumatologo? Sondato che comunque per la famiglia sarebbe stato molto difficile tornare il giorno dopo, decidiamo per la sostituzione di quei 2 resti di qualcosa che non ha per niente la consistenza del gesso ed il motivo è che la bimba ci ha sempre gattonato sopra. In queste condizioni forse non ha senso proporre un altro gesso ma tentiamo comunque ammonendo la famiglia di non far strisciare per terra la piccolina. Il materiale necessario è stipato alla rinfusa negli scatoloni dopo che l’ultima alluvione ha scombussolato la vita qui tirando giù qualche tetto. Nella confusione riusciamo ad estrarre un rotolo di salvapelle, uno di cotone e delle bende gessate troppo grandi per quei salsicciotti, ma queste c’erano. Allestiamo un lettino con la bimba sopra e un contenitore di acqua, adagiato su 2 scatoloni, nel quale imbibire le bende gessate ed iniziamo l’operazione. 2 persone a tener ferma e a distrarre la niña, Rossana a mantenere in correzione l’equinismo e io intento a vestire la gambina. Quello che è veramente particolare è che questa è la mia prima esperienza di volontariato come fisioterapista e cosa vado a fare come primo intervento? Se oggi il gesso è stato messo lo devo al corso teorico pratico con fisioterapistisenzafrontiere, in quel weekend speso con colleghi tra lezioni frontali e prove dirette con sullo sfondo San Luca e Bologna intera. Ripescando tra quelle conoscenze sono riuscito a raffazzonare un risultato almeno sufficiente. Rispetto al materiale che abbiamo utilizzato mi è venuta in mente una frase pronunciata da Gavino Angius mentre parlava del Partito Democratico e del suo nuovo rientro. Riferito al PD aveva detto “E’ quello che è, ma è quello che c’è”, ed anche qui quando si fanno le cose non si deve mai prescindere dal ricordarsi sempre che con quello che si ha si deve ricavare il risultato migliore possibile senza lamentarsi troppo di quello che manca. In questo caso poi il problema erano solo bende troppo grandi, ma durante la giornata avrei apprezzato altre carenze. Prima di pranzo e senza neanche avere avuto il tempo di lavarmi i denti, siamo andati nel vecchio ospedale militare in cui si sono allestite 2 sale di fisioterapia che però mancano della luce, quindi per ora è stata individuata un’altra stanza, e compito di oggi è di recuperare il materiale necessario per allestire la palestra in cui lavoreremo oggi e nei prossimi giorni. Estraiamo dalla sabbia, che filtra granello dopo granello da ogni fessura, un letto bobath a manovella, una spalliera, qualche cuneo morbido. In una delle 2 stanze c’è una panca da palestra con tanto di bilanciere e pesi. Un’apparizione che sembra tanto uno di quei granchi che ogni tanto passano di traverso in Lamu (citazione che solo i patiti capiranno). Qui arriva di tutto. Il criterio è che tutto serve, ma a volte forse alla parola “tutto” bisognerebbe dare un significato un po’ più restrittivo.
Con Rossana l’accordo è che io mi occupi di valutare il livello teorico pratico dei 3 fisioterapisti che ci sono qui. Tutti, anche se in periodi diversi, hanno studiato fisioterapia a Cuba come ultima fase della loro formazione. Provengono da villaggi anche lontani da dove ci troviamo e comunque la sera non tornano a casa. Prima che cessasse l’attività nell’ospedale militare lavoravano una settimana cadauno ed ora si tratta di ricostruire completamente anche l’aspetto organizzativo.
Ad un primo impatto è difficile definire questi ragazzi dei fisioterapisti, anche con una molto buona volontà. Sidi, Ibrahim e Embarek hanno lavorato pochissimo negli ultimi anni e si vede dalla loro manualità oltre che dall’approccio molto “da libro”. E’ capitato di dover trattare Ahmudi, un ragazzo di 20 anni che a seguito di un incidente stradale ha riportato una frattura alla tibia sn con compromissione nervosa (SPE?) circa 2 mesi e mezzo fa. E’ stato operato con mezzi di sintesi ed ha iniziato a camminare con 2 bastoni canadesi da una settimana, ma praticamente senza appoggiare la gamba malata sotto il cui tallone è ben visibile una piaga da decubito ormai secca. Ahmudi è qui con la madre che dorme sempre nell’ospedale. Ho passato tutto il pomeriggio con Ahmudi spiegando ai 3 fisioterapisti che una buona riabilitazione discende da una corretta interpretazione del problema ed abbiamo fatto assistere la madre all’attività di autoallungamento del tricipite, che è visibilmente retratto, utilizzando una benda. Domani verificheremo se avrà compiuto l’attività e proseguiremo nella riabilitazione occupandoci anche dell’aumento dell’articolarità al ginocchio sn che non si flette oltre i 30°-40°.
A cena sono arrivati anche Alessio, fotografo catanese, e Francesca, una studentessa di medicina di Bologna, che sono qui da 8 giorni e rimarranno fino al 29, anche se Alessio sta meditando di rimanere a lungo… Mi sono cotto un po’ di patate anche per domani, visto che gli altri vanno a Dakla e mi lasciano qui a continuare il lavoro. Domani quindi dormirò tutto solo qui a Bol-la, con la notte svegliata di continuo dal rumore delle porte mosse dal vento. Sembra che qualcuno bussi continuamente.
Questo primo giorno intero è volato, sono tante le cose che sono successe, ma un po’ per la dolce lingua spagnola (resa dall’accento cubano ancora più esotica) un po’ per la cerimonia del tè, ma mi sento già ambientato a meraviglia.

 

GIORNO 4
Il cielo di notte è una meraviglia. Senza la luna e con tutto il buio intorno, è uno dei pochi posti in cui sono stato nei quali mi sembra di avere sopra di me una semisfera di stelle. Posso vederne che quasi toccano l’orizzonte. Quando sono a casa e mi trovo all’aperto in campagna posso vedere invece come una tavola stellata in cielo, ma non c’è quella sensazione avvolgente che trovo qui. La gente poi si sposta completamente al buio, e si chiama non appena si percepisce. In questi ultimi 2 giorni sono rimasto solo e mi sono ambientato come fossi a casa mia. Con le chiavi per aprire la porta della cucina, della mia stanza, della stanza con il frigorifero, e tutti quelli che passavano dovevano chiederle. Devo dire che mi ha fatto un po’ strano visto che sono qui da poco e persone che vivono qui da molto tempo dovevano chieder le chiavi proprio a me.
Con Sidi, Embarek e Ibrahim il lavoro sta migliorando pian piano grazie al rapporto di franchezza che stiamo adottando tra di noi. Parlandone con loro sono riuscito intanto a far comprendere il motivo per cui mi trovo li in maniera che non vada a urtare la loro dignità, e mi sono sembrati molto disponibili. Mi hanno raccontato poi anche come vivono la loro situazione professionale che si potrebbe dire di frustrazione, soprattutto quando arrivano le commissioni straniere e le persone vengono per farsi visitare, poi quando gli stranieri se ne vanno, anche i pazienti scompaiono. Il loro lavoro non è riconosciuto dalla gente di qui che invece aspetta con ansia i bianchi per far veder i propri figli o parenti, e allora cominciano ad arrivare bimbi con paralisi cerebrali infantili nella speranza di chissà che cosa. Oppure arrivano persone con problemi magari risalenti a molto tempo addietro, come oggi una ragazza che è arrivata con una probabile lesione dell’estensore lungo del IV dito risalente al “mese sexto del ano pasado” come dicono qui. Che dire, quando è successa la stessa cosa al mio povero mignolino, per tamponare la situazione ho dovuto mettere tempestivamente un blocco per 40 giorni mentre qui ci si presenta dopo un anno e mezzo solo quando si sa che arrivano i medici.
Oggi poi c’era una commissione spagnola nel blocco dove dormo con le specialità di traumatologia, ortopedia e cardiologia e una cinquantina di persone in lista oltre a qualcuno dell’ultima ora. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere sul motivo del nostro essere qui, e nulla più. Mi sembra sempre un poco strano che le diverse organizzazioni lavorino in maniera abbastanza disgiunta in situazioni di bisogno, comunque dalle visite che hanno fatto ci hanno mandato un paio di pazienti tra cui la ragazza con la supposta lesione dell’estensore e una bimba con paralisi cerebrale infantile…. Tornando ai nostri 3 la manualità sembra migliorare soprattutto dopo che abbiamo fatto una chiacchierata in cui ho spiegato loro che guardandoli mi sembravano molto timorosi di quello che avrei pensato io, e che dovevano avere più fiducia nelle loro mani. Oggi poi abbiamo variato l’organizzazione del lavoro ed è stato il primo giorno in cui loro hanno lavorato con i pazienti e io ho li ho guardati e corretti il meno possibile.
Altra cosa da dire riguarda le condizioni igieniche. Chi fa la fisioterapia spesso dorme nello stabile, per terra su un materasso, come a casa propria. I guanti specie per i 3 fisioterapisti sono assolutamente un optional, anche in presenza di una cicatrice con i punti esposti. Le infezioni dunque sono un’evenienza almeno probabile. Non ci si lava le mani mai tra un intervento e l’altro e le mosche sono sempre a mangiare da qualche crosta sanguinolenta. Qui poi non c’è la coda per fare fisioterapia. Entrano tutti, pazienti, famigliari, amici, e devi sempre spiegare quando devono aspettare ancora. Concetto tra l’altro che sortisce un effetto molto differente che in Italia. Qui quando ad una persona che arriva in macchina come oggi a mezzogiorno (ora a cui terminiamo il lavoro della mattina) le dici che ci vediamo alle 4 del pomeriggio, ride e ti aspetta come niente fosse; c’è una concezione del tempo diversa.
Ora è terminata la mia “solitudine” perché Rossana e gli altri sono tornati, per cui stasera dormirò qui e non potrò continuare a vedere la serie di telefilm “Prison Break” in spagnolo a casa di Fredy. Ieri ho dormito là addormentandomi mentre guardavo la TV e stasera sono riuscito, prima dell’arrivo degli altri, a guardarmi un altro episodio (il quinto..). in questo giorni poi mi ha tenuto compagnia Pedro, che ora quando mi vede abbassa subito le orecchie e mi corre incontro scodinzolando. Mi hanno raccontato che era di un militare che lo portò qui ancora cucciolo, poi il suo “papà” andò a lavorare in un’altra wilaya e lo lasciò qui, ed è diventato il cane di tutti, anche se visto come tira fuori il pisello con me, credo che senta la mancanza di una perrita.

GIORNO 5
Con tutti a casa oggi mi sono svegliato cercando di fare meno rumore possibile perché nessuno si svegliasse. Devo essere al lavoro alle 9 anche se qui la puntualità o il concetto di orario non sono trattati come in Germania (verrebbe da pensare “per fortuna”!). La mattina fa abbastanza freddo e lo sopporto con le mie braghe corte nel tragitto dalla casa dove stiamo al lavoro. Oggi poi è stato veramente il giorno in cui più di tutti ho sentito la quotidianità, come fossi a casa vivendo la routine. Con i ragazzi credo di aver trovato un buon feeling anche dal punto di vista umano e questo mi fa sentire anche più tranquillo quando stiamo insieme, mentre lavoriamo.
Oggi con Rossana siamo andati al wi-fi point che si trova se ho capito bene nel casolare vicino al pozzo con le riserve d’acqua. Diciamo che pensare ad una connessione internet in mezzo al deserto un po’ fa sorridere ed un po’ fa riflettere sul fatto che l’uomo quando ci si mette inventa soluzioni incredibili. Abbiamo così potuto mandare e leggere qualche e-mail alla velocità di un piccione viaggiatore….
E’ stato buffo poi che prima di entrare, in mezzo al nulla, da una chiazza verde, spuntassero alcuni cocomeri, meloni gialli, pomodori verdi. Precisamente grazie all’irrigazione dello scolo della fogna, ma in ogni caso gli spagnoli, il cocomero se lo sono mangiati con mucho gusto. Solo dopo qualche ora sono riuscito a spiegarmi come fosse possibile e soprattutto da dove provenissero i semi da cui quella frutta era nata…..
Al ritorno poi mi si è avvicinato il Direttore dell’ospedale, Rahmani, per dirmi se potevo dare un occhio ad un almacen, visto che gli avevo chiesto di un paio di stampelle e addirittura di una molla di Codivilla (figurarsi!). Ci siamo avvicinati ad uno dei camion parcheggiati da quando sono arrivato e chissà da quanto tempo prima, e quando ha aperto la porta mi sono ritrovato come Alice nel paese delle ortopedie, immerso in stampelle, deambulatori, peromed, molle di Codivilla, ginocchiere, deambulatori fissi, tutori per gli arti, e addirittura un sollevapersone idraulico!!! Ho fatto mente locale ai pazienti che abbiamo in fisioterapia e a quello che avrei potuto mostrare ai ragazzi e mi sono messo alla ricerca trovando praticamente tutto quello che stavo cercando, con mio sommo stupore visto che solo il giorno prima stavo discutendo che mi sarebbe servita una molla che in ogni caso sicuramente qui non avrei trovato. Per dirla tutta poi le molle ed i peromed, difficilmente si riusciranno ad inserire qui, specie per le donne che camminano poco, a volte senza scarpe o con ciabatte e spesso nel deserto in cui un piede equino riesce abbastanza bene a vincere la resistenza della sabbia. Maggiormente possibile invece l’utilizzo negli uomini, di cui molti militari, abituati a portare scarpe ed a camminare abbastanza. Quello della differenza nell’applicazione della teoria riabilitativa ed anche delle ortesi in contesti diversi mi affascina molto. Quello che funziona a casa nostra qui potrebbe non essere utile, un po’ come quello che si cercava di spiegare a Bush quando ci riempiva i maroni con la storia del’esportazione della democrazia.
Oggi abbiamo ancora fatto 2 chiacchiere con gli spagnoli che hanno fatto qualche operazione chirurgica e Rossana ha posto il tema della condivisione del lavoro e della tempistica con cui lavorano le commissioni straniere in modo da interagire assieme. Un profano direbbe che dovrebbe trattarsi della ovvia normalità, ma nella pratica poi l’organizzazione non è così semplice, specie quando passa dall’alto, mentre lo diventa di più quando la si costruisce dal basso. Dopo il classico “que tal?” di cortesia, il dermatologo raccontava di come oggi non si siano presentati 2 pazienti a cui dovevano asportare un tumore, ed uno di questi ne aveva uno molto grande nel collo, e chissà per la paura non si è visto. Qui poi uno dei problemi è anche la distanza, per cui succede anche che le persone non vengano ad appuntamenti medici perché non sono riuscite ad organizzare il loro trasporto.
Dimenticavo poi che oggi Alessio ha preparato una torta che somiglia molto ad una frittata ma che lui ci teneva molto a spiegare che invece era una torta, vista la diversa sequenza delle operazioni che normalmente si fanno per preparare una frittata. Dalla ricetta della nonna è scaturita quindi una torta di cipolle e patate molto buona, che ha richiesto il consumo delle riserve di cibo : ma per il sapore ne è valsa la pena.

 

GIORNO 6
Oggi è stata una giornata di lavoro in cui si sono cominciati a raccogliere un po’ di frutti del lavoro che soprattutto Sidi ed Ibrahim stanno portando avanti. In particolare Ahmudi ora riesce ad appoggiare la pianta completa del piede e a portarci un po’ di peso quando cammina alle parallele, mentre la vieja ha detto che oggi era il giorno in cui si sentiva meglio da quando abbiamo iniziato. E quello che mi fa maggiormente piacere è che oggi nessun paziente si è rivolto a me alla ricerca di risposte, ma ha posto sempre le domande e le considerazioni al proprio fisioterapista. Poi sembra che la regola dell’ingresso riservato solo ai pazienti funzioni e c’è dunque meno confusione e si lavora più tranquillamente. Diciamo che comunque non si corre. Anche oggi, come ieri, mentre io cocciutamente, col mio insopportabile piglio occidentale, arrivavo in orario all’inizio dei lavori, Sidi e Ibrahim collezionavano rispettivamente 20 e 30 minuti di ritardo entrando in palestra tranquillamente. Oggi quando è entrato Ibrahim gli ho chiesto dove fosse Sidi e mi ha detto che stava arrivando, stava “tomando tè”…. Poi in terapia Ibrahim è andato a chiamare Ahmudi ed è tornato solo dicendo che “non vuole venire perché dice che ahora està tomando tè”… Insomma qui la gente prende il momento della “toma del tè” con una sacralità che “tienes que respectar”.
Una delle cose che più mi piacciono qui è che ogni volta che si incontra qualcuno ci si saluta stringendosi la mano e con un Salamaleikum (.. Aleikumsalam ..), un Bon soire, un “Que tal, todo bien?”, che mi ha fatto capire più a fondo il significato del film “Lezioni di cioccolato” in cui l’uomo bianco quando interloquiva anche velocemente al telefono con l’arabo che lo avrebbe potuto denunciare per sfruttamento del lavoro nero, sempre doveva chiedere “Come va? La famiglia sta bene?” prima di iniziare qualunque discussione. Come il tè, anche il saluto ha quel non so che di sacro.
Ormai comincio a conoscere quasi tutti dentro l’ospedale, e mi riferisco ai pazienti ed ai famigliari, e quasi tutti i giorni qualcuno mi invita a “tomar tè”. Oggi è stato dentro la tenda con Ahmudi e la sua famiglia. La conoscenza prosegue e si può anche scherzare dandosi del “cabròn”, o imparando qualche parola di arabo, come muzmullah (si dice prima di mangiare) o andullah (dopo mangiato).

 

GIORNO 7
Amahu è un fisioterapista che da 2 mesi è tornato in Sahara dopo più di 15 anni a Cuba, in particolare a Pinar del Rio. Suo padre mi ha dato il passaporto poco prima del trenino che porta dalla stazione di Roma all’aeroporto. Non lo vede da 15 anni. Finalmente ho avuto la possibilità di parlare con qualcuno con un livello di preparazione buono e con punti di vista simili ai miei specie per quello che riguarda l’impostazione di un’attività di formazione che si ponga con il criterio principale dell’efficacia degli interventi, oltre che della copertura del territorio. Sidi e Ibrahim non lo vedono bene, lo trovano uno che li guarda dall’alto, che non saluta come fanno tutti qui. Che abbia forse perso l’abitudine dopo il lungo periodo trascorso fuori dal proprio Paese? Sta di fatto che si sono palesati un po’ di problemi personali che penso si andranno a ripianare nel momento in cui prenderà il via il progetto, che per come è stato pensato contiene già il seme della riuscita. Intanto perché chi tiene il corso è un locale e non uno che viene da fuori con tutti i problemi legati al calarsi nella realtà, nei costumi e nella lingua. Poi perché sono stati previsti gli incentivi economici giusti per far si che le persone individuate partecipino realmente alla formazione. Non lavorando come fisioterapisti, molti si sono trovati attività alternative, come il muratore, la vendita di sigarette ecc. e non è possibile pensare che le persone interrompano queste attività per studiare, quindi in qualche modo va compensato il mancato ingresso di denaro.
Oggi poi Rossana, Alessio e Francesca sono venuti in fisioterapia a sbirciare. Rossana ha potuto vedere la chiquitica di 2 anni e mezzo con la bruciatura sul collo e Fatma. Magari per loro potrebbe esserci un passaggio in Italia nel futuro, anche se per la piccolina sembra un po’ più difficile pensare alla ripresa della posizione eretta un po’ per l’equino pronunciatissimo dei piedi e un po’ per un probabile deficit cognitivo. A Fatma invece Rossana ha regalato un blocco di fogli da disegno e dei pastelli e mi auguro che possa anche regalarle un intervento chirurgico in Italia ed il cammino nel suo futuro.
Alessio invece ha scattato un po’ di foto in cui ci sono anch’io e saranno praticamente le prime, e forse le uniche visto che ho solo quella scattata da Fredy in cui sono nella tenda con Ahmudi e la mamma.
E’ arrivato poi in “degenza” un ragazzo con un fissatore esterno posizionato al terzo distale del femore dx, grazie ad un intervento chirurgico eseguito dagli spagnoli. Oggi ho poi fatto un giretto nella zona prechirurgica che devo dire assomiglia molto a quelle che abbiamo da noi e non mi aspettavo di trovare questo livello di igiene. Ci ho fatto un salto perché come al solito Sidi e Ibrahim sono arrivati con molto comodo, e quest’ultimo mi ha detto che aveva dormito 15.30 alle 16.30. Ma come! Smettiamo di lavorare alle 12 e riprendiamo alle 16 e lui inizia a dormire alle 15.30! Per fortuna anche Amahu mi ha confortato dicendomi che anche lui fa fatica ad abituarsi ai ritmi della sua gente, anche se per come parla sembra molto di più un cubano che un saharaui.
Uscendo un po’ dal lavoro sento ora anche la necessità di conoscere un po’ meglio questo posto, mi piacerebbe fare un giro per il deserto per vedere come è e magari se non riesco questa volta, tornare la prossima e accettare l’invito di Ibrahim ad andare a casa sua, dove le porte sono sempre aperte.

 

GIORNO 8
Per la prima volta da quando sono arrivato, non sono andato in fisioterapia, ma mi sono preso un giorno di “quasi descanso”, andando con gli altri ad un po’ di riunioni. E’ stata l’occasione per vedere il deserto in movimento di giorno oltre che alcuni dei luoghi in cui abita la gente qui. Uno si chiama “27 de Febrero”, giorno della nascita del Fronte Polisario. E’ molto vicino a Bol-la, ma per raggiungerlo si attraversa prima un piccolo tratto di deserto, con il pick up che sembra seguire una pista immaginaria. Quando inizia l’asfalto, siamo già arrivati ed iniziano alcuni controlli da parte dei militari. Girare da queste parti in maniera indipendente pare essere praticamente impossibile, perché già all’aeroporto ci sono persone con il listato degli arrivi, da che organizzazione e per dove, e non lasciano passare nessuno che non abbia un accompagnatore. Poi è sconsigliato camminare da soli in giro per le Wilaya, sempre meglio farlo accompagnati. Questa wilaya (27 febrero) prima non esisteva, c’era solo la scuola. Poi pian piano sono sorte costruzioni e la gente si è spostata, anche perché questa zona è raggiunta dalla corrente elettrica ed è dunque più appetibile di altre. Raccontava Rossana che un paio di anni fa cadde moltissima acqua per 3 giorni a Febbraio e ci furono circa 50.000 persone che perdettero la casa. Le costruzioni qui sono fatte quasi tutte di fango e vengono “sciolte” dall’acqua. Dopo l’alluvione, alcune delle case si sono ricostruite completamente in cemento, o almeno ponendo una base di cemento e tirando su il resto alla vecchia maniera.
Al Veintisiete, come dicono qui, abbiamo avuto un incontro con il ministro della salute in merito al progetto portato avanti in particolare da Francesca e Mohammed (lo psicologo) sull’epilessia, che ha portato alla raccolta nelle wilayas di 103 casi di persone da sottoporre, da domani, ad EEG per valutare la presenza della malattia ed eventualmente il suo livello, oltre che organizzare la fornitura e l’assunzione delle medicine necessarie. Naturalmente c’era chi preparava il tè e questa volta sono stato molto attento e mi sono annotato tutto, così a casa… Guardando il cellulare ho visto per la prima volta tutte le tacche belle presenti aspettando un messaggio da Samanta, visto che il telefono a Bol-La non prende quasi mai, e dopo un po’ è arrivato e non ho resistito a chiamarla. Spesso ci si fanno tante paranoie sulle tariffe del telefono e magari non ci si sente per non spendere 10 euro, ma si perde poi l’emozione di risentire una parte di noi che sta dall’altra parte del Mediterraneo. Sono stati 6 minuti e mezzo che mi hanno davvero ricaricato le pile; ci volevano credo per entrambi perché se per me la lontananza è vissuta in un posto che attrae molto la mia attenzione e la quotidianità mi occupa tanto, lei invece dorme sola nel nostro lettone.
Poi siamo passati a casa di Amahu per raccordarci sul corso di fisioterapia. Ci vedremo lunedi a Rabuni all’ospedale nazionale. L’idea è che lui fornisca già un programma di massima da condividere con me, e poi mantenere i contatti per organizzare in particolare la valutazione finale del corso che andrebbe fatta da un esterno. Mi è stato chiesto se posso essere io… non so, ma sicuramente me ne occuperò o direttamente o attraverso FSF con Paola Casoli (già in contatto con Rossana, come è piccolo il mondo!!), anche se essendo già stato qui sarei forse quello maggiormente indicato. C’è tempo comunque per vedere intanto se il corso parte, poi come procede ecc.
A Rabuni c’è l’ospedale nazionale, i Ministeri, la parte amministrativa, ci sono i cubani (medici che si fermano qui per un anno e poi vengono sostituiti da altri) e c’è il Protocollo che è un posto in cui ci sono molti stranieri e in cui c’è anche l’insegna di un ristorante e poi un negozietto di quelli tipici per turisti.
Al ritorno Fredy aveva preparato una zuppa con i fagioli che insieme a riso bianco hanno costituito il nostro pranzo delle 15, poi mi sono messo il PC a tracolla, la macchina fotografica alla cintura e mi sono sparato una bellissima camminata nel deserto fino al wi-fi point da dove ho inviato altre foto e il continuo di questo diario a Sam. Sono anche passato in fisioterapia ed i ragazzi avevano già tirato fuori l’infrarosso che tanto piace loro.
Domani arrivano gli altri ed adesso smetto di scrivere perché cambio la mia posizione nella stanza per essere più comodo quando mi devo alzare la mattina!!

GIORNO 9
Siamo appena tornati da una cena a casa di Adrapo, uno dei ragazzi che sono spesso con noi, che abita al Veintisiete. Viaggiando al buio è impressionante misurare ogni volta la maestria, l’abitudine e l’orientamento che hanno i saharaui in ogni momento. Paradossalmente i problemi di orientamento nascono quando c’è un eccesso di punti di riferimento, quindi in particolare durante la ricerca di qualcuno nelle wilayas, dove non c’è nessun indirizzo e i nomi che girano sono più o meno gli stessi. Per la tradizione ogni persona ha un nome, un cognome (del padre) e un secondo cognome (del nonno). La cena era a base di cous cous cotto al vapore in maniera che non rimanga umido per niente. Qui il saper fare si vede parecchio; i grani si potevano dividere e li si sarebbe potuti contare uno a uno. Siccome il condimento principale era a base di carne di cammello io mi sono presentato con il mio pentolino, ma il clima ormai è così cordiale e di amicizia che davvero non c’è problema. Prima di andare a cena è venuto a “casa nostra” il ministro della salute che ha aperto con il solito discorso politico per poi lasciare spazio a commenti e proposte sulle nostre attività aggiungendo di suo note diciamo non di circostanza, come l’occasione avrebbe reso semplice.
Oggi ho conosciuto il gruppo arrivato a notte. In realtà il loro viaggio è stata una mezza odissea, perché a 2 di loro hanno fatto storie per il visto già a Roma. Il motivo era il termine del visto datato il giorno prima della partenza!! Allora corsa all’ambasciata e problema risolto, sennonché a Roma l’aereo ha avuto un ritardo di 6 ore! Ma ancora niente problema perché l’attesa ci sarebbe comunque stata anche ad Algeri. Ma proprio all’aeroporto della capitale algerina, il volo per Tindouf ha passato le 4 ore di ritardo, fatto sta che sono arrivati alle 6 questa mattina, con Mohammed che ha praticamente dormito tutta la notte in macchina per aspettarli…
Come per me, anche in loro ho visto l’entusiasmo dell’arrivo, la ricerca del ruolo da svolgere, della responsabilità affidata, nonostante per alcuni di loro non sia la prima volta qui. Dal punto di vista professionale con Michele abbiamo un po’ affrontato tutto quello che è successo durante la mia presenza, scambiandoci opinioni in merito a come procedere per spendere al meglio il nostro tempo qui. Dalla valutazione che abbiamo fatto della vieja abbiamo poi discusso con i 3 delle impressioni e degli aspetti tecnici della valutazione. Mi ha colpito che ad esempio non avessero mai sentito il termine sindrome piramidale, come anche alcune domande fatte che spiegavano bene il fatto che avevano capito ben poco di quello che avevano visto. Ora, un altro problema che si pone in maniera assolutamente centrale è quello della lingua. Qui in tutto il gruppo sono probabilmente quello che parla meglio lo spagnolo. Incrocio gli sguardi degli altri che cercano un aiuto nella comprensione. Non c’è niente da fare, ma la conoscenza della lingua nel paese che visiti ti permette di entrare molto nei particolari, nella cultura del paese, cosa impossibile se spizzichi tre parole in croce.
Domani insieme a Michele andiamo a Rabuni a parlare con Amahu del corso di fisioterapia. Il mandato è quello di far si di non lasciare completamente in mano sua il corso, che si senta in qualche modo controllato. Dovremo vederlo lavorare, buttare giù un programma di massima con i contenuti da trattare nella parte pratica e in quella teorica. Qui la generazione dai 12 ai 25-26 anni non esiste, perché gran parte di loro va a Cuba. Partono a 12 anni alla fine delle elementari, ancora bambini e tornano alla fine del ciclo universitario già uomini. Se non frequentano con successo vengono rimandati a casa, almeno questa è la regola, poi quanto rispettata non so visto la preparazione dei “miei” fisioterapisti. Chi invece se ne va in Algeria o in Libia sta via solo un anno. Il criterio della scelta pare essere la volontà dei ragazzi e soprattutto quella della famiglia.

GIORNO 10
Doveva toccare anche a me prima o poi, ed è stato questa notte. Dalle scoregge siamo passati ai fatti e ad un’ora imprecisata mi sono svegliato per andare in bagno ed il risultato è stato diarrea pura, dolore di pancia, sudorazione, brividi. Mi sono alzato da terra al buio, poi sono passato alla luce del corridoio e il mio corpo ha reagito probabilmente con un calo di pressione che mi ha costretto a sdraiarmi per 2 volte in corridoio prima di raggiungere il bagno. Poi un’altra scarica notturna e altre 3 durante oggi… Stamattina quando tutti si preparavano io ero in cucina a preparare la lista delle tematiche del corso con un aspetto da fantasma. Non ero proprio nelle condizioni di prendermi su, salire in macchina e andare a Rabuni, così abbiamo spostato a domani o al giorno dopo l’incontro con Amahu. Al lavoro poi sono stato non proprio di compagnia, comunque conforta che tutti qui appena mi vedevano mi domandavano come stavo. E’ un bel modo di rapportarsi che hanno qui le persone tra loro. Insieme a Michele abbiamo fatto una serie di valutazioni (soprattutto lui naturalmente) di bambini ed adulti con danno in qualche modo neurologico e ne abbiamo individuati 2 che andranno in Italia (Fatma e un bimbo con una possibile distrofia, per la quale sarà meglio indagare).
Adesso con un Imodium ho abbastanza fermato la diarrea, poi con un antinfiammatorio mi è passato il dolore alla testa e la febbre e adesso sto abbastanza bene.

 

GIORNO 11
Dopo 10 ore di buon sonno, mi sono svegliato una pasqua, bello tranquillo perché tutti avevano da fare presto mentre io dovevo andare a Rabuni ma non si sapeva quando. Ovviamente il momento è scattato mentre stavo versando l’acqua bollente nel secchio dell’acqua per la doccia… Comunque dopo la doccia siamo andati da Amahu a Rabuni ed è stato molto semplice proporgli quello che avevo pensato come corso. Ci ha fatto visitare la sua palestra, composta di 3 stanze con il necessario per fare un buon lavoro. C’era anche una stanzetta con lettini e macchine per la terapia fisica. Poi abbiamo anche dato un’occhiata al chirofano, come chiamano qui la sala chirurgica, ma devo dire niente a che vedere con quella che c’è qui a Bol-la, che peraltro ha standard davvero occidentali… complimenti agli spagnoli.
In macchina, insieme a Michele, che capisce molto poco di spagnolo, abbiamo scambiato 4 interessantissime chiacchiere con il nostro autista, dalle quali abbiamo scoperto l’organizzazione della vita qui. Chi vive qui è un rifugiato. Gli aiuti dall’estero arrivano al Governo saharaui che li ripartisce tra gli abitanti in base a quanto ognuno si dà da fare, oltre a garantire cibo e generi di sussistenza.
Parlando con Omar, il nostro autista, è stato molto interessante ascoltarlo parlare del suo ritorno da Cuba, dove è cresciuto ed ha cominciato a conoscere il mondo. Ha vissuto il passaggio da una società con costumi molto liberi e senza Dio ad una in cui Dio è al centro di tutto e si è trovato molto bene dopo il primo periodo di adattamento, dicendoci che molti dei “cubani” preferirebbero la loro terra a Cuba se potessero scegliere dove vivere. E’ venuta fuori l’anima orgogliosa di una persona che in quel momento rappresentava un sentimento che ho visto in tanti, per la propria terra che ora non è sotto i loro piedi.
Al ritorno ci è venuto a trovare Eduardo (Edu) un infermiere spagnolo che lavora per un’organizzazione a Smara dove si occupa anche della riabilitazione di 12 bambini ed era venuto con 2 di loro per avere qualche consiglio sul trattamento da me, ma siccome la sua auto aveva fretta ed uno dei 2 bambini dovrà fare l’EEG qui, ci rivedremo giovedi mattina. Al lavoro poi abbiamo proseguito a fare valutazioni di bambini con Michele, in una condizione di maggiore confusione a causa della presenza di tutti quelli che dovevano sottoporsi ad EEG (e famiglia…), quindi i già distratti fisioterapisti, ogni tanto sparivano. Devo dire che Ibrahim mi sembra quello che ha più qualità e soprattutto voglia. Sidi utilizza molto il suo titolo, il pezzo di carta senza vedere i limiti della sua preparazione. Embarek è un bravo ragazzo, ma non so quanto voglia fare il fisioterapista nella vita, sempre a cercare altre cose da fare, arriva con 40 minuti di ritardo e dopo 30 secondi non è già più dentro la palestra, poi riappare per poi scomparire… Mah! Comunque ho preannunciato loro la base del corso, le caratteristiche e, visto che parte il 13 di Dicembre, che lavoreranno anche la prossima settimana (che non era prevista) come deciso dal loro Direttore Rahmani.
Poi mi sono messo al computer per 4 ore a spulciare tutti i documenti che mi ha dato Amahu per vedere di scegliere un po’ di cose da stampare per i corsisti e nel mezzo è entrata Rossana incazzata perché si era accorta che tutta la gente all’ospedale che era li dalle 10 di questa mattina non aveva mangiato. Stavano partendo per Dakla (a 160 Km di distanza) senza aver mangiato e almeno con un intervento all’ultimo minuto sono stati rifocillati con qualche yogurt e pane. Pian piano sono tutti tornati dai rispettivi lavori e mentre scrivevo al PC Rossana mi ha detto che è molto contenta del mio lavoro e devo dire che mi ha fatto molto piacere perché benché sia una piccola cosa, mi ci sono messo parecchio per fare in modo che possa riuscire nel migliore dei modi, oltre che cercare di coltivare il miglior rapporto possibile con tutti ed in particolare con Sidi, Ibrahim ed Embarek.

 

GIORNO 12
Quando si alza il vento qui, capisci perché tutti portano il turbante sulla testa e davanti alla bocca, ed anche perché Rahmani porta quelle scarpe alte assolutamente impermeabili. La sabbia, fine come la farina, spostata dal vento a gran velocità sbatte su tutto e si infila inesorabile in qualunque spiraglio. La stanza in cui dormo ha 2 finestre praticamente sigillate, ed il tetto di lamiera ha solo 2 piccoli buchi, ma in una mattina in filo di polvere ha coperto più o meno tutto. Ho passato un sacco di tempo a spolverare il PC anche in palestra, con polvere che entrava continuamente, invisibile, da non so dove. D’altra parte il deserto in preda ad una tormenta di vento è qualcosa di suggestivo che ti fa fermare per scattare una fotografia con il rischio di venire alzati dal vento e sbattuti per terra.
Al lavoro ormai non c’è più molto da fare, i pazienti sono diminuiti, Embarek ha sempre qualcos’altro da fare, Brahim (si chiama senza la I ho scoperto oggi) dà sempre una mano di là al gruppo “epilessia” e Sidi ogni tanto pontifica e spesso sbadiglia. Ho finito tutti i moduli del corso, corretti anche con Mohamed e ne sono piuttosto soddisfatto. Di lavoro ce ne è parecchio e mi auguro che gli studenti siano davvero coinvolti e partecipino attivamente, e comunque sento tutto questo molto mio e mi sa che un saltino alla fine ce lo farò e magari neanche da solo. I lavori poi volgono al termine un po’ per tutti. La sera si forma un capannello di persone in cucina con tutti i PC sul tavolo, tra il gruppo “epilessia” in cui Francesca si è fatta davvero un gran culo, e Giovanni con il suo progetto di educazione fisica con l’opuscolo Giocosport del CONI.

 

GIORNO 13
Il giorno della capra è arrivato. Comprata a Smara, ammazzata, tagliata e adesso (23.30) si inizia a cucinare le prime cose. Quando ho visto come si metteva sono andato con la mia piletta a casa di Lef e ci siamo visti Dragonfly, poi ora siamo qui che non ho voglia per niente di piantarmi a mangiare alle 2 di notte tra frattaglie, fegato e carne in generale. Tralasciando questo particolare, oggi è andato buco l’incontro con Amahu che è venuto, è stato con me 2 ore ma Rossana e Mohamed non sono tornati e dunque mi sa che dovremo fare domani mattina. Tra l’altro oggi fa un freddo che ho perennemente i piedi congelati. Chiacchierando con Amahu mi fa sempre più strano come ci si possa riabituare così velocemente a tradizioni che forse non sono mai state proprie. Il “Che” parlava dell’uomo nuovo, della sua costruzione, e i saharaui sembrano rappresentare l’impossibilità di applicare alla realtà questo concetto. Stanno 15 anni a cuba, dai 12, con, come dicono loro alcol, fiesta y sexo e piombano qui infilandosi un turbante in testa, con ragazze che si possono conoscere solo su procura, con la religione…. Non riesco a capire davvero come si possa resistere; lui mi diceva che il non potere avere rapporti diretti con le ragazze (che a Cuba si proponevano a lui con frequenza) proprio non gli va giù e che resiste solo perché lui, rispetto agli altri ha una famiglia molto aperta; il padre vive a Roma, la madre ha viaggiato e il fratello sta in Italia.
In mezzo alla bufera di sabbia mi è toccato di andare alla planta per scaricare i driver della stampante che ci serve per stampare tutti i documenti tecnici, visto che domani è l’ultimo giorno e immagino ci sarà una parte del gruppo che non starà nella pelle per andare a fare shopping, quindi prevedo un’anarchia maggiore del solito.

 

CONCLUSIONI
Ormai sono tornato da 4 giorni. Il viaggio è finito con una emozionante cena in cui tutti hanno parlato al resto del gruppo del proprio lavoro, delle proprie opinioni, impressioni ecc. Alla fine devo dire che sono contento del lavoro che è stato fatto per il corso, in particolare perché c’è stato tempo per definire bene alcuni particolari, perché lo condurrà un saharawi preparato e a suo modo carismatico quanto serve. Siamo solo alla partenza del corso e mi auguro poi che ci sia partecipazione, interesse e che alla fine si alzi il livello di conoscenza dei partecipanti e soprattutto si riesca ad organizzare il loro lavoro sul territorio e non solo all’ospedale di Bol-la. Per quello che riguarda la parte emotiva, certamente mi ricorderò di alcune persone in particolare. Naturalmente Rossana e Mohamed che stanno dedicando anni della loro vita al miglioramento delle condizioni di vita di questo popolo stremato ma resistente. Alessio lo ricorderò per la sua spontaneità e per la trasparenza dei suoi sentimenti, delle sue emozioni, che hanno fatto si che tutti qui si affezionassero a lui. Francesca, ancora studentessa, ha dimostrato una dedizione al lavoro encomiabile, un piccolo soldatino, a cui va gran parte del merito del lavoro svolto dal “gruppo epilessia”. Ricorderò poi la simpatia di Michele e il feeling professionale che si è creato nel pur breve periodo trascorso insieme. Poi Omar, Freddy, Adrapo, Lef e tutti i ragazzi che ci portavano il pane, che qualche volta preparavano qualcosa da mangiare, con i quali ho dormito e visto un po’ di tv, scherzato ma anche parlato “en serio”. E naturalmente ai 3 amici fisioterapisti ed all’ultimo te che hanno voluto regalarmi per salutarmi.

 

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