Esperienza in Rwanda ed analisi dell’intervento svolto
Ft.: Paola Martinelli
PREMESSA
La mia esperienza di cooperazione internazionale si è svolta fra luglio 1993 e aprile 1994 in Rwanda.
Allo scopo di meglio collocare nello spazio e nel tempo ove andavo ad operare insieme a mio marito, pure lui fisioterapista, ricordo che il Governo Rwandese fra il 1990 e 1993 fu in guerra con il Fronte Patriottico Rwandese nel nord del Rwanda al confine con l’Uganda.
Nell’agosto 1993 fu firmato l’accordo di Arusha che prevedeva la costituzione di un governo di transizione fino a nuove elezioni democratiche.
E’ in questo momento che ci inserimmo nel progetto presso il Centro per handicappati di Rilima, nel Sud del Paese, a pochi chilometri dal confine burundese.
IL PROGETTO
Il progetto sostenuto dalle ONG Fondazione Tovini e Medicus Mundi ed approvato dal MAE (Ministero Affari Esteri) ed UE (Unione Europea) prevedeva la costituzione di una scuola per terapisti della riabilitazione, figura professionale assente in Rwanda pur esistendo del personale formato nelle scuole dei paesi circostanti (Zaire, Uganda…) o preparato in loco da missionari e colleghi europei.
Non essendo stato ancora definito in Rwanda il profilo professionale del FT e i relativi ordinamenti didattici (come in Italia fino poco tempo fa), la nostra attività consistette nel definire tale parte giuridica in équipe con rappresentanti del Ministero della pubblica istruzione, colleghi rwandesi e belgi.
Per non inventare nulla di nuovo nella costituzione della scuola visitammo agli altri centri di riabilitazione rwandesi la scuola per fisioterapisti di Goma (Zaire).
VISITA A CENTRI DI RIABILITAZIONE RWANDESI
Più precisamente in Rwanda esistono il Centro di Gathagara, sostenuto dalla cooperazione belga, specializzato in protesi per amputati da mina (patologia diffusa visto la recente guerra 90-93) e il Centro di Gaini, sostenuto dalla cooperazione inglese, specializzato per l’età materno infantile anche attraverso l’utilizzazione della RBC (riabilitazione su base comunitaria).
Il Centro per handicappati di Rilima, ove lavoravamo ed abitavamo, comprendeva un orfanotrofio ed una struttura del tipo ospedaliero con sala operatoria e settore riabilitativo.
L’esperienza professionale svolta in tale struttura è stata interessante sia per l’ampiezza dell’intervento riabilitativo effettuato sul paziente sia per la diretta responsabilità del proprio lavoro .
Per ampiezza dell’intervento riabilitativo intendo: parte diagnostica (condivisa con un medico anestesista italiano) , definizione del piano di trattamento e valutazione dei risultati.
Il tutto supportato da un’officina meccanica da noi incrementata ove, con materiali reperibili a basso costo in loco si potevano costruire docce di posizione con acqua e farina di manioca, grucce in cuoio e legno, stampelle, rudimentali scarpe sempre di legno e cuoio che comunque ben svolgevano la funzione correttiva su diversi tipi di patologia.
E’ in tale officina che si è arrivati anche all’invenzione di alcune semplici soluzioni meccaniche come l’utilizzo di una vite senza fine a livello delle articolazioni quali ginocchio e gomito per il recupero articolare graduale in caso di retrazione mio-fasciale.
A tali tipi d’intervento si aggiungeva l’ individuazione dei pazienti sul territorio, attività resa possibile dal collegamento con le autorità politiche e religiose locali (sindaco e parroco). Tale screening aveva il duplice scopo d’individuare i pazienti che pur trovandosi nel distretto di Nyamata (ove si trova Rilima) erano molto lontani dal nostro Centro e di fare un programma di cernita per l’attività operatoria e/o riabilitativa.
Nel lavoro abbiamo collaborato con personale locale e cioè con una collega con titolo di studio riconosciuto in Zaire, da un collaboratore che aveva studiato a Rilima fisioterapia pur non avendo un titolo riconosciuto, da un’assistente che ci aiutava per le pratiche più semplici, da personale infermieristico e un’assistente sociale .
CAMBIAMENTI POLITICI
L’esperienza, di per se ristretta nel breve periodo di soli 9 mesi, ha avuto le caratteristiche dell’eccezionalità, sia pur in negativo, per gli eventi politici intercorsi.
Dopo soli 3 mesi dall’arrivo in Rwanda mio marito fu distaccato dal progetto di riabilitazione per occuparsi di alimentazione e di rifornimento di acqua potabile ai vicini campi di profughi burundesi.
Tali campi si costituirono a seguito del tentativo di colpo di stato da parte dei quadri dell’esercito tutsi nell’ottobre 1993 che ha visto la morte del presidente Ndadaye, primo politico eletto democraticamente nella regione dei Grandi Laghi.
Successivamente a tali eventi alle abituali patologie (poliomielite, piedi torti, esiti PCI, emiplegie, fratture…) si aggiunsero patologie causate da armi da fuoco, mine, machete.
Purtroppo a seguito dell’uccisione del Presidente rwandese e all’esplosione del genocidio che fece fra le 500.000 e 800.000 vittime, il 10 aprile 1997 fummo evacuati dal Rwanda.
CONSIDERAZIONI PIÙ GENERALI:
– Ho riportato sopra fatti che non riguardano unicamente l’aspetto professionale per sottolineare l’importanza, nella formazione del FT in partenza, della buona conoscenza della storia e situazione politica del paese ove si va ad operare.
Inoltre un’approfondimento della cultura locale aiuterà il volontario o cooperante a meglio comprendere la realtà ove si troverà ad operare. Il “saper meglio leggere gli eventi” induce ad una flessibilità progettuale indispensabile soprattutto là ove il confine fra progetto di cooperazione per lo sviluppo e il progetto d’emergenza è molto labile.
– la formazione del FT in partenza: la differenza è data dal livello economico dell’ambiente ove si va ad operare, dalla cultura e dai materiali che si possono reperire.
In un periodo in cui da noi esplode la riabilitazione “computerizzata, isocinetica…” nel mondo impoverito l’intervento tradizionale diventa molto più importante.
La ricerca del massimo recupero possibile va contestualizzato ancor più là dove normalmente le attività lavorative sono culturalmente definite (per la donna cura della casa e dei figli, coltivazione della terra).
Il terapista italiano d’oggi è bombardato da proposte formative sulle tecniche riabilitative e quelle che vanno per la maggiore sono quelle ove con una manovra ben assestata risolvono in breve tempo il problema del paziente.
Il FT che lavorerà al Sud del mondo deve saper sì usufruire dalla sua sfera prettamente tecnica, ma unitamente a competenze più di tipo sociale.
E’ per tale motivo che auspico che l’AITR possa farsi promotrice di uno specifico pacchetto formativo per i colleghi in partenza.
Finisco il mio intervento con una domanda che rivolgo ai soggetti che si occupano di cooperazione: è veramente utile oggi promuovere progetti con l’invio di volontari o cooperanti?
Tale domanda sorge dalla mia personale esperienza in cui ho constatato la tendenza a non considerare l’esistente sul territorio africano, ma a concepire a priori la gente africana come avente bisogno di essere formata.
So di interventi in Rwanda in campo riabilitativo portati avanti da personale volontario europeo unicamente perché più economico, dal punto di vista dei gestori dei centri ospedalieri, rispetto al personale locale.
Conosco inoltre progetti in paesi ove si opera pensando che la figura del fisioterapista non esista mentre sono presenti colleghi fisioterapisti che hanno seguito una formazione uguale o superiore alla nostra.
Questa riflessione vuole essere anche di stimolo all’AITR che se vorrà dare un valido contributo al mondo della cooperazione dovrà acquisirne le competenze basilari favorendo sempre più una cooperazione sud-sud , gli scambi culturali tra i centri di formazione e le prestigiose Università del sud del mondo e limitando nel contempo la cooperazione nord-sud che nel breve o medio periodo crea dipendenza.